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Check up competitività della filiera ovi-caprina
Roma, 22 dicembre 2010
Non è stato solo il numero degli allevamenti, ma anche la consistenza del bestiame e il valore della produzione ad accusare in questi ultimi anni una contrazione nel comparto ovino. È quanto indica Ismea nello studio Check up competitività della filiera ovi-caprina presentato lo scorso 10 dicembre a Nuoro in occasione dell'Assemblea sul settore organizzata dalla Cia, da cui si evince anche un deterioramento della situazione nel corso del 2010.
Dal 2003 al 2007 sono oltre 3.200 le aziende con ovini che hanno chiuso i battenti in Italia, circa il 4% dei 78.591 allevamenti che operavano sul territorio nazionale nel 2003. Una contrazione strutturale imputabile essenzialmente alla realtà produttiva sarda, che detiene il maggior numero di aziende (il 17%) e concentra da sola il 42% del patrimonio ovino e che deriva da una progressiva erosione dei margini di redditività del comparto.
A calare è stata anche la consistenza del bestiame di razza ovina, nonostante la revisione di medio termine della Pac abbia reso disponibile una maggiore superficie a pascolo a seguito del disaccoppiamento generalizzato degli aiuti. Misure, come osserva Ismea nello studio, che sembrano aver favorito tra il 2005 e il 2008 una tendenza all' incremento e, in seconda battuta, una stabilizzazione del patrimonio di capi, ma che non hanno trovato riscontro nel 2009, interessato da una nuova fase cedente del numero di capi (-2 % rispetto al 2008) a fronte di irrisolti problemi di redditività.
PRODUZIONE
Il valore della produzione a prezzi di base del settore ovi-caprino è diminuito dal 2001 al 2009 del 3%, riducendo dal 5,7% al 5,2% il suo peso rispetto al totale del comparto zootecnico e dall'1,8% all'1,7% l'incidenza sul totale agricoltura. La produzione di latte e di carne, al netto delle oscillazione legate ad elementi stagionali (clima, epizoozie etc.) ha subito nello stesso periodo una forte riduzione delle quantità (rispettivamente del -6% e -10%) nonostante la già citata MTR (Mid Term Review della Pac) abbia rallentato questo trend nel periodo più recente. Gli ultimi dati disponibili, relativi ai primi 8 mesi del 2010, indicano tuttavia una flessione ancora più marcata della produzione di carne che ha ceduto l'11% rispetto allo stesso periodo del 2009.
Anche la produzione di Pecorino romano Dop, dal 2001 al 2009, si è ridimensionata in maniera significativa, riducendosi del 24%. Prodotto di punta della zootecnia ovina a denominazione, il Pecorino Romano impiega annualmente 150 mila tonnellate di latte, equivalenti al 31% del totale della produzione di latte ovino e al 47% di quella proveniente dagli allevamenti sardi e coinvolge, assieme alle altre tre Dop (Pecorino toscano, Pecorino Sardo e Fiore Sardo) circa 13.500 aziende agricole, quasi 3 milioni di capi e 212 imprese di trasformazione. Un circuito produttivo numericamente importante che risulta tuttavia caratterizzato, osserva l'Istituto, da una notevole instabilità dei volumi, da un'eccessiva specializzazione di prodotto (il Pecorino Romano rappresenta l'89% delle produzioni certificate nel settore ovicaprino) e da una rilevante concentrazione produttiva (i primi due caseifici immettono sul mercato il 27% di forme e i primi 5 quasi la metà).
REDDITIVITA'
Dal 2001 al 2009 la redditività degli allevamenti ovi-caprini ha subito un progressivo deterioramento, a causa di prezzi sempre meno remunerativi, nonostante la minore disponibilità di latte e carne sul mercato. La ragione di scambio (ossia il rapporto tra i prezzi corrisposti agli allevatori e i costi dei fattori produttivi) ha registrato, secondo i dati Ismea, una flessione del 19% che risulta ancora più accentuata nel 2010 (-24%).
A gravare sui bilanci degli allevamenti sono state prevalentemente le spese per l'approvvigionamento energetico (+29% nel periodo in esame), quelle relative ai salari (+29%) e ai mangimi (+14%). La serie storica dei valori all'origine del latte ovino indica dinamiche divergenti tra i diversi distretti produttivi, con una evidente penalizzazione per gli allevamenti sardi che hanno spuntato negli anni prezzi di gran lunga inferiori rispetto a quelli corrisposti ad altri operatori nazionali. Nel 2000 il prezzo del latte ovino in Sardegna si attestava mediamente a 66,6 €/hl contro i 75,6 €/hl in Toscana. Una forbice che è andata divaricandosi progressivamente, raggiungendo nel 2010 un differenziale di prezzo del 42% ( latte sardo 62,5 €/hl vs latte toscano 89 €/hl).
D'altro canto, il confronto tra i risultati di bilancio di due campioni di cooperative della Sardegna e della Toscana evidenzia chiaramente un notevole gap dei risultati, sia in termini economici - un grosso calo del fatturato 2009 solo nelle prime (-51%) - sia finanziari, osservabili in Sardegna in una ridotta efficienza del capitale investito, in un maggiore indebitamento, in una minore liquidità e in un allungamento della durata dei crediti.
Intanto, sottolinea Ismea, è aumentato negli anni il potere contrattuale dell'intermediazione commerciale e della distribuzione finale a scapito delle fasi più a monte della filiera. La dinamica della catena del valore dal 2007 al 2010 evidenzia, ad esempio, come circa il 57% del prezzo pagato dal consumatore per il Pecorino Romano remuneri oggi l'intermediazione, la logistica e il retail (era il 46% nel 2009 e il 42% nel 2007 e 2008). La parte del valore trattenuta dagli allevatori si è ridotta drasticamente nel corso dell'ultimo anno, attestandosi al 35% del prezzo finale del prodotto, mentre il margine dell'industria ha subito una sensibile erosione negli ultimi quattro anni, passando dal 19% del valore nel 2007 all'8% nel 2010.
CONSUMI INTERNI ED EXPORT
Sul fronte dei consumi interni, l'indice Ismea degli acquisti delle famiglie rileva nell'ultimo decennio una contrazione sia per il Pecorino che per la carne ovi-caprina rispettivamente del 19% e del 15% tra il 2000 e il 2010. Per il Pecorino, tale tendenza flessiva risulta accompagnata da una dinamica ascendente dei prezzi, cresciuti del 33%, rivelando un'elevata elasticità della domanda rispetto al prezzo.
L'analisi Ismea rivela che il consumatore "tipo" di Pecorino risiede al Centro-Sud, ha un'età elevata e appartiene alla fascia di reddito medio-basso.
Risulta in flessione anche l'export di pecorino e fiore sardo, che tra il 2003 e il 2010 ha registrato una riduzione del 28% dei flussi in quantità e del 16% di quelli in valore. A calare sono state soprattutto le vendite negli Usa ( -42% nel periodo in esame), riducendo dal 77% al 59% il peso del mercato statunitense sul valore dell'export del segmento.
Ismea - UO comunicazione
Enrica Ruggeri, Vanna Sportelli, Andrea Festuccia, contatta via mail
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